Il mio ventre porta solo bambine

Lettera a Michelle Bachelet, direttrice dell'Agenzia Donne delle Nazioni Unite, di Olutosin Oladosu Adebowale, attivista per i diritti umani, 4 febbraio 2011, trad. M.G. Di Rienzo


Cara Michelle Bachelet,
le donne non le si ascolta, ed alle nostre opinioni non si dà ne' riconoscimento ne' rispetto. Le donne in tutto il mondo attraversano esperienze diverse, e sanno come risolvere al meglio i propri problemi. Legga le nostre lettere. La questione è urgente. Abbiamo bisogno della nostra saggezza collettiva.
E' con il cuore dolente che le ripeto ciò che ha già letto o visto: nei nostri paesi, una donna è una cittadina di seconda classe. Se una bimba sopravvive all'infanticidio femminile in India, può non sopravvivere in Thailandia, dove la pratica è ritenuta accettabile. Se riesce a raggiungere i dieci anni d'età, può essere venduta all'industria del sesso.

Una bambina che sopravvive a questa tragedia in Thailandia o in India, può non sopravvivere in Pakistan o in Nepal, dove le bambine sono tenute nei bordelli assieme ai serpenti, sino a che vengono vinte con il terrore a sottomettersi ai loro carcerieri.

Lei riesce ad immaginare il tradimento provato da una bimba che vede i suoi genitori venderla come schiava? Riesce ad immaginare una piccola a cui è stato detto che questo nuovo zio la iscriverà ad una scuola di Mumbai, riesce a vederla mentre saluta la madre con la mano e poi si sveglia in un albergo? E' la forma peggiore di tradimento che si possa sperimentare, ed i rappresentanti delle forze dell'ordine spesso sono a conoscenza di tutta la faccenda, e la favoriscono. Persino nel mondo cosiddetto sviluppato alle donne non sono risparmiate le aggressioni sessuali e i pestaggi dei mariti.

Le bambine che sopravvivono ai matrimoni precoci nella Nigeria del nord non sopravvivono alle fistole vescico-vaginali, una condizione devastante causata dai parti precoci che pure sarebbe curabile. E' una condizione dolorosa, ma la sofferenza fisica non è comparabile alla sofferenza causata dal rigetto che la bambina subisce da parte della sua famiglia e di suo marito, che è vecchio abbastanza per essere suo nonno.
Anche la mutilazione genitale femminile è dolorosa. Lo so perché ne ho fatto esperienza di persona. Ma non è paragonabile al dolore che ho provato quando sono stata accusata di aver permesso ad un uomo di stuprarmi.

Cara Michelle, lei lo sa che senza tre testimoni un caso di stupro è chiuso, nella Nigeria del nord? Lo sa che molti dei nostri leader sono sposati a bambine? Uno dei nostri senatori ha preso in moglie una tredicenne egiziana l'anno scorso. Un altro leader ha divorziato ormai 17 volte, perché per le leggi “islamiche” un uomo che è stanco della moglie può dire “Divorzio da te, divorzio da te, divorzio da te”: queste tre volte ed il matrimonio è finito. Una donna può dirlo quante volte vuole, e farebbe lo stesso se lo cantasse: non può divorziare.

Vede il modo in cui la religione è usata per perpetuare la diseguaglianza di genere? Una donna non può godere di eguaglianza nelle nostre società. Si dice che un maschietto valga cinque femminucce. Lei lo sa che le mucche valgono di più delle bambine? La diseguaglianza affligge la nostra psiche, ci sentiamo completamente prive di valore. Visto che non c'è richiesta di bambine, nei nostri paesi, non ne facciamo scorta. Al momento, ci sono circa 5.000 bimbe nigeriane vendute come schiave in Mali. Ma ce ne sono ancora di più in Italia e in Spagna.

La preferenza per i maschi è vantata e propagandata anche dai nostri leader politici. Non ho ancora visto le donne corrompere, mutilare o uccidere per raggiungere una posizione politica. Ma durante le primarie nigeriane del 2010 c'era una sola candidata alla presidenza, Sarah Jibril, ed ha ottenuto un solo voto sui circa 300 disponibili.
Ci sarà eguaglianza, nelle nostre nazioni, quando vi sarà un'eguale quota di donne e di uomini nei nostri parlamenti ed un'eguale quota di femmine e maschi nelle nostre scuole. O quando lo stesso numero di bambini e bambine saranno forzati a matrimoni precoci e venduti come schiavi sessuali, quando lo stesso numero di infanti maschi e femmine saranno soppressi, quando la percentuale di maschi e femmine che lasciano la scuola senza diplomarsi sarà uguale, quando lo stesso numero di ragazzi e di ragazze saranno espulsi da scuola perché un compagno di studi o un insegnante li ha messi incinti. Se mi risponde che questo è impossibile, allora mettiamo fine completamente a questi vizi e creiamo un mondo pacifico per tutti, femmine e maschi.

Non avevo neppure quattro anni quando mio padre morì. A mia madre fu negato l'accesso alle proprietà di mio padre perché aveva solo figlie. Le fu pure negato l'accesso alle proprietà di suo padre, perché una donna non ha diritti ereditari in Nigeria. Le mie due figlie ed io, oggi, siamo disconosciute allo stesso modo. Mia madre mi aveva messo in guardia, ma fino a che non mi sono sposata non ho capito quanto poco valevo. Sono sposata da dieci anni, ormai, e non mi è mai stato permesso di partecipare alle assemblee familiari: perché il mio ventre produce solo bambine.

Il mio ventre porta solo femmine e non le scambierei con nessun maschio per nulla al mondo. Non ha idea di quanto dolci siano le mie figlie. Posso parlar loro con gli occhi, e mi capiscono. Posso storcere il naso, e loro sanno cosa significa. Non sono sola, nella mia lotta.

La prego, lei è la nostra voce. La faccia risuonare.
Grazie mille per aver ascoltato le donne e per aver lottato sino ad ora.
Saluti solidali da Olutosin Oladosu Adebowale, Lagos, Nigeria.

Disfare la guerra, rifare gli uomini

(Kathleen Barry, sociologa femminista, ha di recente dato alle stampe il libro "Unmaking War, Remaking Men" - "Disfare la guerra, rifare gli uomini". Di seguito ne parla per Women's Media Center, 10.11.2010. Kathleen Barry è l'autrice, fra l'altro, di "Female sexual slavery" del 1979, libro tradotto in sei lingue. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)



La guerra rinforza la mascolinità violenta. L'asserzione degli uomini di essere i protettori delle donne è la giustificazione per il controllo estremo delle donne stesse. Ancora, regolarmente, si afferma che l'occupazione dell'Afghanistan abbia "liberato" non solo il paese ma le donne in particolare. In realtà la guerra fa regredire la condizione delle donne: sia nel paese in cui è combattuta, sia in ogni paese che ne invada un altro.
In Afghanistan, l'istruzione delle bambine ebbe inizio nel 1941 e diventò obbligatoria nel 1978, un anno prima dell'invasione sovietica. I diritti umani delle donne stavano emergendo assieme al crescente sviluppo economico; a partire dal 1959 le donne ottennero il diritto di voto e nessuno richiedeva loro di essere velate. Le donne studiavano ed insegnavano nelle università afgane.
Poi l'Unione Sovietica occupò il paese per dieci anni, l'occupazione fu seguita dalla guerra civile, ed ora la guerra statunitense in Afghanistan è entrata nel suo decimo anno: la situazione oggi è che le ragazze sorprese ad andare a scuola possono avere dell'acido lanciato in faccia, che sulle insegnanti delle ragazze pendono condanne a morte (e queste donne coraggiosamente continuano ad insegnare in scuole segrete) e che l'onnipresente burqa nasconde le donne alla vista.
Il presidente Karzai, lo scorso anno, ha proposto una legge per accontentare i capi tribali che avrebbe a tutti gli effetti legalizzato lo stupro all'interno del matrimonio. Emendata prima della sua adozione, oggi la legge permette ad un marito di negare il cibo alla moglie che gli neghi il sesso.
I media americani omettono, in modo conveniente e consistente, di contestualizzare e storicizzare la condizione femminile nel mondo islamico ed arabo. Negli Usa e nel resto del mondo, uomini e donne, in largo numero, sono giunti a credere che la guerra in Afghanistan abbia solo potuto migliorare la triste condizione delle donne, e niente è più lontano dalla verità. Il fatto è che le donne stanno soffrendo di più perché il nostro allora presidente decise che era nell'interesse nazionale combattere contro un paese che non ci aveva attaccati ne' aveva in progetto di farlo. E quando negoziava con Karzai su altre istanze, ha sempre ignorato le leggi punitive per le donne.
Le donne americane non guadagnano nulla dalla mascolinità violenta che risorge rinforzata dalle guerre contro l'Iraq e contro l'Afghanistan: delle donne che sono nell'esercito, una su tre è vittima di violenza sessuale da parte dei soldati americani suoi commilitoni. In questo senso è più pericoloso per una donna stare nell'esercito che in zona di guerra. Il tasso di violenza domestica subito dalle mogli di militari è più alto della media. E la cultura della guerra dà respiro politico alla destra estrema che vorrebbe privare noi donne di molti diritti umani, compreso quello di avere il controllo sui nostri corpi.
Queste sono solo le più evidenti delle violazioni, subite dalle donne, che si intensificano in tempo di guerra. Nel mentre i diritti delle donne vengono concessi o sottratti a seconda del trovarsi in pace o in guerra di un paese, un problema più grave governa la condizione delle donne durante la guerra: è la spendibilità degli uomini. Nel mio nuovo libro, "Unmaking War, Remaking Men" identifico l'addestramento ad un tipo di mascolinità come la base per la socializzazione dei ragazzi nel loro diventare uomini, e ciò è trasversale a culture e stati: per diventare uomini devono essere riconosciuti come "protettori" delle donne, dei bambini, della loro tribù o del loro paese. L'apprendimento è rinforzato dai messaggi mandati dai media, dal gruppo di pari e dalla società nel suo insieme. La violenza e l'aggressione sono gli elementi principali di questo tipo di mascolinità e sono essenziali al ruolo di "protettori". L'esercito costruisce l'attitudine al combattimento dei suoi membri su tale base. E sempre da tale base nasce l'aspettativa del "sacrificio del soldato".
Rendere gli uomini spendibili per la guerra dicendo loro che sono protettori li incoraggia, io credo, a sentirsi superiori alle donne, giacché sono i difensori di creature più deboli, inferiori. Di certo questo fenomeno non spiega tutte le diseguaglianze che toccano alle donne, ma fa un bel tratto di strada nell'analizzarle. Dalle donne di tutte le culture e le classi sociali ci si attende che accettino gli uomini come "protettori": mentre una su quattro subisce violenza dagli stessi uomini che dovrebbero difenderla da altri uomini.
Nel libro suggerisco, con maggiori dettagli di quanto possa fare in un articolo, che la spendibilità degli uomini è una condanna a morte inerente nell'aspettativa di genere che debbano combattere guerre. Viola in modo così intenso la loro stessa umanità, che molti di loro rivolgono la loro rabbia, alimentata dal senso di superiorità, contro le donne e i bambini in casa propria. E grazie all'incoraggiamento fornito dall'esercito, in Iraq e Afghanistan civili sono uccisi su base giornaliera.
Neppure la pace mette fine alla violenza contro le donne. La violenza contro le donne in casa e nelle strade resta il terreno di crescita per le prossime guerre, è il palcoscenico su cui il "macho" recita e gli uomini in genere si preparano ai combattimenti futuri.
Un impegno efficace per la pace richiede l'alleanza tra il femminismo ed i movimenti pacifisti o contro la guerra. Specialmente il lavoro femminista sulla violenza contro le donne deve informare ed aiutare a costruire le pianificazioni e le azioni dei movimenti contro la guerra. Questo permetterebbe agli uomini di assumersi la responsabilità di rifare la mascolinità ed alle donne di disfare la loro complicità nel rendere gli uomini spendibili.

Il mondo va così?

Mie care e miei cari, nelle polemiche di questi giorni su prostituzione e istituzioni è sovente saltata fuori la frase “E’ il mondo che va così”. Qui di seguito, se vi interessa, trovate un’opinione al proposito. 
Maria G. Di Rienzo

Tutti conoscono la storia di Adamo ed Eva, ma sono veramente in pochi a sapere quella di Grunta e Smurfo. E’ un peccato, perché praticamente ogni gruppo umano, sin dagli albori, ha avuto la sua Grunta o il suo Smurfo: quelli più fortunati li hanno persino avuti entrambi, quelli cui non è toccata la grazia ne’ dell’una ne’ dell’altro sono presto svaniti nell’oblio.
Nelle loro tribù cavernicole Grunta e Smurfo sono i giovani più ispidi, irsuti, rognosi e dispettosi del gruppo. Fanno un sacco di domande (spesso condite da sarcasmi e commenti iconoclasti come “grunt” e “smurf”), hanno una curiosità sconfinata, una sbrigliata fantasia, una spiccata tendenza a cercare il massimo risultato con il minimo sforzo e spesso si mettono nei guai.
Succede ad esempio che Grunta se ne stia in disparte da qualche giorno, e che dalla piccola grotta vicina alla foresta dove si è rintanata si sentano strani rumori, i colpi della pietra sul legno e qualche colorita imprecazione quando il martello improvvisato le acciacca un dito. Le venerabili anziane della tribù, e cioè le donne che hanno passato i trent’anni, passano di là scuotendo la testa e qualcuna urla a Grunta di smetterla di perder tempo e di preoccuparsi di cose serie: i segni sono chiari, presto ci sarà una grande tormenta di ghiaccio e neve e la tribù si sta preparando a spostarsi. Bisognerà, tristemente, abbandonare tutto ciò che è troppo pesante per essere trascinato e portato in braccio e qualche membro della tribù decrepito (oltre i quaranta) o molto malato sarà purtroppo lasciato indietro. Ed ecco che Grunta finalmente emerge dal suo misterioso ritiro: a forza di pestare, incastrare, legare, levigare ed ammaccarsi le mani ha costruito un carretto a due ruote. Intende lasciare il meno possibile dietro di sé, quando partirà con la tribù, e meno che mai la nonna a cui è molto affezionata. La nonna potrà stare sul carretto assieme alle coperte e ai canestri; tirando l’attrezzo in due persone, una per stanga, si farà meno fatica che a portare il tutto a braccia.
“Orrore!”, urla all’unisono il consiglio tribale, “Grunta ha passato il segno: sta sfidando le nostre sacre tradizioni e stravolgendo la nostra cultura. Le tormente sono mandate dagli dei, e quelli che ne muoiono sono il sacrificio necessario a placare la collera divina. E in fondo, per la maggior parte si tratta di persone che a causa dell’età o della malattia non sono più in grado di contribuire alla crescita ed al benessere della tribù.”
“Tutta polvere di selce.”, ribatte l’ingrugnita Grunta, ovvero “tutte sciocchezze”, “La nonna ha imparato nella sua lunga vita un sacco di cose: sa distinguere le erbe buone dalle erbe velenose, capisce le stagioni e gli animali, sa i movimenti delle stelle. Se tutto questo va perduto, ogni volta bisogna impararlo di nuovo. E poi, non ha ancora finito di raccontarmi la storia del dinosauro che si era innamorato di un vulcano.” Mentre così dice una nuova ideuzza spunta nel cervello di Grunta: e se fosse possibile rendere concrete le parole della nonna, come rocce, renderle visibili ed accessibili anche dopo che lei se ne sarà andata? Le rocce, già, la cui durata sfiora l’eternità. Potrebbero essere incise nella roccia, parole, idee, conoscenze?
Il consiglio dibatte animatamente se distruggere il carretto (opzione avversata dai più curiosi), cacciare Grunta dalla tribù (opzione avversata dalla sua famiglia e dal giovane Smurfo che è da un po’ che la adocchia), scannare preventivamente sua nonna (opzione avversata dalla nonna), e Grunta non li bada più perché sta già pensando all’alfabeto, ma ecco che arriva davvero la tempesta e tutte le discussioni vengono rimandate a data da destinarsi. Occorre che vi dica com’è andata? Grazie alla creatività di Grunta ed alla preservazione e trasmissione diffusa della conoscenza della nonna, la tribù sopravvisse e prosperò. E andò ancor meglio quando l’idea di Smurfo di conservare il fuoco fu accettata.
Naturalmente, il giovanotto incontrò le stesse difficoltà di Grunta. “Orrore!”, ulula il consiglio tribale, “Il fuoco viene dai fulmini, emanazioni della potenza celeste. E’ qualcosa da temere o riverire, non qualcosa da portarsi nelle caverne! Smurfo sta sovvertendo tradizioni, cultura, sacro, blah blah blah…” Ma intanto i membri della famiglia di Smurfo cucinano il cibo, non muoiono di freddo, cuociono vasi e Grunta – sì, nel frattempo la ragazza ha deciso che Smurfo non è male se proprio si deve scodellare un marmocchio o due – vuol provare a fondere il rame.

Morale: l’umanità è sopravvissuta perché alcuni suoi membri alla frase “Il mondo va così, è sempre andato così e non c’è niente che tu possa fare.”, hanno risposto “Col piffero.”

Un Luogo in cui le donne decidono

Articolo di Emily Wax, apparso sul "Washington Post" del 9 luglio 2005. Traduzione di Maria G. Di Rienzo

Umoja, Kenya. Seduta a gambe incrociate su un tappeto, all'ombra, Rebecca Lolosoli prende la mano di una spaventata ragazzina di 13 anni. La bambina avrebbe dovuto sposare un uomo che ha circa tre volte la sua età, e Lolosoli le sta dicendo che non e' vero che lei e' obbligata a farlo.
Inoltre, l'uomo è il fratello di Rebecca, ma qui la volontà di suo fratello non conta. Questo è un villaggio di sole donne, dove le donne decidono da se stesse.
"Tu sei una ragazza giovane, lui è un uomo fatto", dice Lolosoli, che da rifugio a molte altre ragazze fuggite da matrimoni forzati, "Le donne non devono più acconsentire a queste sciocchezze".
Dieci anni orsono, un gruppo di donne fondò il villaggio di Umoja, che significa "unita'" in swahili, in un campo arido che nessuno voleva. Erano donne che erano state stuprate, e quindi ripudiate dai loro mariti perchè avevano "svergognato" le loro comunità. Scossa da tale trattamento Lolosoli, una donna carismatica e con grande fiducia in se stessa, decise che nessun uomo sarebbe stato ammesso a vivere nel villaggio circolare di
capanne di fango.
Con un gesto di disprezzo, gli uomini della tribù costruirono un proprio villaggio sulla strada per Umoja, con l'intento anche di spiare e controllare quel che facevano le donne.
Ciò che aveva avuto inizio come un gruppo di donne senza casa che cercavano un posto dove vivere, è divenuto un villaggio felice e di successo. Circa 40 donne vivono qui, e gestiscono un centro culturale ed un campeggio per i turisti che visitano l'adiacente Riserva Nazionale di Samburu. Umoja è fiorita, ed ora le sue donne ogni tanto danno lavoro agli uomini, ingaggiandoli per la raccolta di legna da bruciare, che è un compito tradizionalmente femminile.
Gli uomini del villaggio rivale hanno tentato di copiare l'idea del centro per turisti, ma non hanno avuto lo stesso successo.
Grazie ai guadagni provenienti dal campeggio e dal centro culturale, in cui vendono i loro manufatti, le donne sono state in grado per la prima volta di mandare a scuola i loro figli, di mangiare bene, e di rigettare le richieste maschili di escissione e matrimonio per le figlie. Sono diventate così famose e rispettate, queste donne vittime di abusi, battiture e di unioni imposte, che Lolosoli è stata invitata di recente ad una conferenza
mondiale dell'Onu sull'empowerment di genere, a New York.
"Da quel momento il comportamento geloso e brutto degli uomini è peggiorato", racconta Lolosoli spiegando che la sua vita è stata minacciata dai vicini prima del viaggio a New York. "Mi hanno detto francamente che
intendevano uccidermi". E Lolosoli ride, perche' pensa che l'idea suoni drammatica oltre misura.
Sebastian Lesinik, il capo del villaggio degli uomini, ride anche lui mentre mi spiega la divisione fra uomini e donne come lui la vede: "L'uomo e' la testa. La donna è il collo. Un uomo non può prendere consigli dal proprio collo.
Lolosoli sta mettendo in discussione la nostra cultura. Sembra che questo sia il segno dei tempi, l'avere in giro donne fastidiose come Rebecca".
*
Il femminismo in Africa sta progressivamente crescendo fra livelli estremi di violenza sessuale, la battaglia contro l'hiv/aids, e gli scenari successivi alle guerre, tutte cose che hanno contribuito a cambiare i ruoli
delle donne in modi sorprendenti.
Un nuovo pacchetto di leggi è stato presentato al Parlamento keniota allo scopo di dare alle donne i diritti, mai avuti precedentemente, di rifiutare le proposte di matrimonio, di combattere le molestie sessuali sui luoghi di lavoro, di rigettare le mutilazioni genitali e di veder perseguito legalmente lo stupro, un atto così frequente che i leader nazionali lo definiscono come la principale questione legata ai diritti umani da risolvere in Kenya.
Nella vicina Uganda, migliaia di donne stanno manifestando durante questo mese per avere l'approvazione della legge sulle relazioni domestiche, la quale darebbe loro diritti specifici nel caso il marito prenda una seconda moglie, e una certa protezione nei confronti dell'infezione da hiv.
Undici anni dopo il genocidio, in Ruanda le donne hanno il 49% dei seggi alla Camera e molte di esse sono vedove di guerra.
Le donne nigeriane stanno facendo una forte pressione per avere più donne in politica, inclusa la presidente per il 2007, poiché, dicono, gli uomini hanno fallito nel gestire bene il paese.
"Siamo agli inizi di qualcosa di davvero importante per le donne africane", dice Margaret Auma Odhiambo, portavoce del più vasto gruppo di vedove del Kenya occidentale. Le aderenti sono donne i cui mariti sono tutti morti a causa dell'aids.
*
Lo sforzo di Lolosoli nel perseguire il cambiamento mostra tutte le difficoltà che si incontrano nel mutare i ritmi e le strutture di potere nei villaggi. Prima di partire per la conferenza dell'Onu, Lolosoli andava casa per casa nella vicina cittadina di Archer's Post a dire alle donne che esse hanno diritti, come quello di rifiutarsi di fare sesso con i loro mariti se vengono battute o maltrattate o semplicemente non vogliono. "Una donna non è nulla nella nostra tribù", mi spiega Lolosoli riferendosi anche agli uomini del villaggio di cui attraversa la strada, "Non ti è permesso rispondere ad un uomo, o parlare in sua presenza, che tu abbia ragione o torto. Questo deve cambiare. Le donne devono reclamare i loro diritti, e allora il rispetto verrà. Ma se tu te ne stai zitta, gli altri pensano che non hai nulla da dire. Davvero, dire questo non mi ha resa popolare fra gli uomini".
A New York, Lolosoli ed altre donne del villaggio sono rimaste colpite dal vedere alla televisione un episodio di 'Oprah' centrato sulle donne, sull'abuso verbale e sui mariti disonesti. "Quando ti capita piangi e piangi", sospira, "Molti uomini della nostra tribu' prendono ancora diverse mogli. Ma sono stata veramente ispirata dal sapere che cosi' tante donne fronteggiano cambiamenti di questo tipo e ne escono vincenti".
Tornata in Kenya, con mille nuove idee e un bel po' di manuali per il training all'equità di genere, Rebecca Lolosoli ha dovuto vedersela con un'azione legale intentata dagli uomini del villaggio rivale, che chiedevano
la chiusura e la distruzione di Umoja. Rebecca ha vinto la causa. "Io li ignoro, quando mi tirano addosso pietre chiedendo: Allora stai bene, vero? E come stanno i tuoi bambini? E come stanno le tue mucche?". La sua reazione di perfetta calma e' disarmante, per loro. "Dopo tutto quello che abbiamo passato, non ci fermeranno mai", aggiunge. Lolosoli sta ancora lottando con il proprio fratello che insiste nel voler sposare la tredicenne.
Ultimamente, però, gli uomini del villaggio stanno cominciando ad ammettere la sconfitta. Non tentano più di sottrarre i turisti al campeggio di Umoja.
Molti se ne sono andati. Altri hanno avuto seri problemi per sposarsi, perché numerose donne della zona il messaggio di Rebecca l'hanno preso a cuore. "Ha avuto successo, è vero", sospira Lesinik, che ammette di essere un po' geloso di lei. Poi scrolla le spalle e dice: "Forse potremmo imparare qualcosa dai nostri colli. Forse, un pochino".